Pasqua: molte uova, poche sorprese (pubblicato sul Quotidiano della Calabria, 12 aprile 2009)
È Pasqua: tempo di immolare i vitelli grassi all’ingordigia dei figlioli prodighi che, dopo aver sperperato, e tentato, fortuna nelle discoteche labirinto d’oltre confine, fanno rientro alla casa del padre per compatire i fratelli più sventurati, condannati ad abitarvici a tempo indeterminato. (Ironia del destino)
Tutti – adulteri, pagani, fornicatori – sono posseduti da un’insolita gaiezza che per nulla contrasta con il senso di colpa intrinseco alla natura stessa della festa e alla propria. Peccare non è un’azione involontaria. Non avviene a caso. Mai. Nel piacere del peccato è sottinteso, ed indispensabile, il rimorso: ovvero la consapevolezza piena di contravvenire ad una norma o ad un principio mentre la si sta contravvenendo. Come assumere un antidolorifico dopo aver accuratamente letto le controindicazioni sul libretto illustrativo o ingurgitare un sacchetto di arachidi dopo aver visto il numero delle calorie sulla confezione. Solo molto più dilettevole.
Per affrontare le feste, una cosa è certa, ci vuole coraggio: non si sa mai se ne si uscirà fuori. E come.
Tuttavia viverle è d’obbligo: una clausola che si sottoscrive quando si decide di esistere. È assolutamente necessario, quindi, munirsi d’una dose massiccia di spudoratezza e rinunciare a qualsivoglia istinto di sopravvivenza. Le feste sono piste rosse da percorrere in discesa libera: persone responsabili astenersi. (Non è affare per voi) Celebrarle degnamente significa fare di tutto per mettere a repentaglio la propria incolumità: fisica e psichica. Continuamente e ripetutamente.
Le gabbie si spalancano al primo rintocco di campana ed ogni esemplare d’ogni razza, d’ogni pianeta e d’ogni identità di genere abbandona lo zoo in cui s’era autoconfinato, sentendosi autorizzato a imporre se stesso al resto degli esseri viventi del mondo.
Le strade, le chiese, i bar si popolano di lupi assetati di vino e affamati d’agnelli. Questi, sebbene impauriti, mossi da raptus d’avventatezza, abbandonano i greggi sicuri e si confondono anch’essi nella mischia danzante, pronti ad offrirsi in sacrificio in onore di una degna, seppur breve, esistenza e della altrui Pasqua. In cambio solo d’un momento di gloria. Le feste sono anche questo: un pretesto per sacrificare una vittima, o crocifiggere qualche povero cristo, sentendosene legittimati. O, di contro, l’occasione di tentare il grande salto, pur consci di schianto certo. Tutto il resto è gola.
Smaltiti due o tre grammi dei panettoni di Natale, per tornare felici, è indispensabile riaccumulare nuove riserve di senso colpa. Perché sempre alla colpa si ritorna: il più umano, cristiano, fondamentale e divertente tra i sentimenti. Senza, le feste non avrebbero motivo di essere. E nemmeno noi. È come se il peccato originale ci avesse rese delle party-trotters. E per purificarci fossimo costrette a peccare ancora. Il paradosso.
Si salta da un sepolcro ad un bancone e da un bancone ad un sepolcro in cerca di pace e del salvatore (sobrio e patentato). Ci si bagna di folla per misurare la propria storia personale: contare i superstiti, mettere una croce sui defunti, valutare le nuove risorse umane. O, sempre più frequentemente, meditare su qualche candidatura di ripescaggio.(Sconsigliatissimo)
Discoteche e terrazze altro non sono che un enorme ufficio casting affollato di soggetti da visionare, provinare e rispedire nuovamente al mittente, nella maggior parte dei casi. Roba da talent scout professionista. È come fare un campionario per la stagione futura con un vasto assortimento di merci e a prezzi davvero vantaggiosi. Scelti i capi giusti, si può procedere con la Pasquetta, il pensiero fisso dell’umanità. E qui entrano in campo i socialites consumati. Perché, per essere di tendenza, è assolutamente vietato seguirla. Bisogna inventarla.
I termini mare e montagna sono termini assolutamente troppo generici, bisogna essere più precisi: la località giusta è poca cosa, bisogna azzeccare la casa giusta e il casting giusto. Ovvero: individui della cui luce si ama brillare, ragazze promiscue, alcolizzati, bulimici e qualche disadattato (che, oltre a numero, fa sempre scena.)
E poi varie ed eventuali.
Il segreto dell’essere esclusivi è adoperare il più alto e complesso criterio di selezione esistente: selezione zero. Soprattutto perché è Pasqua e bisogna essere buoni e caritatevoli (con se stessi e con l’umanità), e non farsi mancare nulla. Individui borderline innanzitutto. Bisogna lasciare spalancate le porte (letteralmente) e permettere l’ingresso a tutti i cristi, indistintamente. Solo così si potrà arricchire il proprio curriculum di vergogne, le rubriche altrui di numeri ed il proprio facebook di stalkers. Sotto il segno della vera fratellanza cristiana. E seguendo gli insegnamenti del Messia e della sua crew. Il tutto in un alone di frittata e di quasi estate. Perché, tra i tanti, della festa del lunedì l’imbucato d’onore è la tant’attesa calda stagione che sembra quasi voglia farsi aspettare, di cui la pasquetta è l’entrèe. Il trailer di “Sapore di mare”, in versione venti o trenta anni dopo.
Qualche Lazzaro riuscirà ad alzarsi dal cenacolo urlando al miracolo. I Giuda tradiranno dietro il pattino puntando poi il dito contro l’alcol. Le Maddalene, ubriache, piangeranno cercando consolazione tra le braccia del primo apostolo che passa. Pietro criticherà la location, rinnegandola. E molti snobberanno l’unica tappa dell’anno del Redemption Tour (l’originale) per ballare al rave organizzato da dj Barabba. Tutto secondo il sacro e immutabile canovaccio della Semana Santa: ci si ammazza di festa e poi, per risorgere, servono almeno tre giorni. È così da sempre: molte uova e poche sorprese.
Un paio di mea culpa e Amen.
Carla Monteforte è una socialite professionista e make-up addicted, prestata occasionalmente al giornalismo. Se non è a Cosenza, Roma o Madrid, provate al bar