Il miracolo di Sanremo

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di Carla Monteforte

Se non fosse per noi disperati bisognosi d’un cadavere per credere nel miracolo, i resti di Sanremo giacerebbero in una fossa comune ricoperti da pile interminabili di Tv Sorrisi e Canzoni, trafugati dalla sala d’attesa di un dentista confuso di paese. Sanremo è morto e quello di Conti, trasmesso ieri sera, è solo l’ologramma dei festival passati, riproposto dalla tv di Stato per tenere il popolo a bada e non fargli capire che l’Italia è finita assieme a Baudo.

Il sipario si è alzato e, ad uno ad uno, i big hanno affrontato la scaletta di Ikea, proponendo tolette ordinarie quanto gran parte delle canzoni. Una carrellata di note, stecche, schiaffi e amori falliti, ma non tanto falliti da far breccia nel cuore di noi ragazze di periferia in cerca di un lento finale in cui cadere strafatte tra le braccia di un pregiudicato durante un karaoke infrasettimanale.

Belle e brave le vallette, ma senza lode pure loro (almeno finora). Belle e brave, tranne Garko. Il redivivo attore, nonostante gli sforzi di cambiare posa e nuance di capelli, non è riuscito nell’impresa di distinguersi dalla propria sagoma di cartone. Un’imbarazzante icona da fotoromanzo rubata fuori un’edicola e piazzata sull’Ariston per acchiappare il pubblico in menopausa e quello dei maligni che continua a preoccuparsi della sua (o della propria) sessualità.

Qualche nastro arcobaleno provava a spezzare il grigiore di un teatrino insulso (testimoniando nel frattempo la barbarie di una nazione nascosta ancora dietro un dito). Tra un complimento, una televendita e un’autocelebrazione, qualcosina però si è mossa. Se ne facciano una ragione Adinolfi e tutto il resto dei cattomofobi preoccupati della piega “gender” della 66esima edizione del festival della canzone italiana. Del resto, cari democristiani, se volete un Sanremo etero-dosso non invitate Elton John e, soprattutto, la Pausini. Laura al quadrato, con tanto di giacca originale de La Solitudine, è stata il climax gaio della serata, non superato nemmeno dalla omopaternità “sbadierata” (sulla rete ammiraglia e in prima serata, cari grillini) del musicista britannico che, per il resto, si è espresso in musica e ha scelto più che un basso profilo, un profilo cristiano.

In ultimo i look. La palma da peggio vestita della serata va senza dubbio ad Arisa che ha reso omaggio alle Foibe, seguita dalla solita Noemi (in fase crociera Dukan) separata alla nascita da Irene Fornaciari che per la mise della prima serata ha reso invece omaggio a Caitlyn Jenner. Le altre tutte non classificate: impossibile ricordarle. Il grande assente dell’edizione 2016 del festival, infatti, non è stato il buon gusto, ma proprio la personalità.

Fortuna che Sanremo non è uno show ma il miracolo di San Gennaro: ogni anno il rituale si ripete tra l’ansia dei credenti preoccupati dell’esito che alla fine è sempre identico. Perché ciò che spinge noi folle ad assistervi in massa, e riunirci in gruppi di preghiera, non è Conti che dice la messa, ma solo la fede.