Perversioni di settembre
C’è un che di perverso nella fine dell’estate. Al mare gli ombrelloni si chiudono su passioni, e missioni, ancora incompiute, generando una sorta di bulimia emotiva. Mentre più su, trai monti, l’ossigeno dai polmoni fa trekking sin al cervello occupando la vetta dove prima dimorava lo stress. Ma il relax, tra le insidie, è la più subdola: è una vetta che si raggiunge dopo una spossante scalata e che precede una rischiosa discesa. Oltrepassatane la cauta soglia, i pensieri, ormai sin troppo sani e rinvigoriti, vanno in cerca di piste rosse – imbattute – divenendo incontrollabili.
Perché se è vero che rilassarsi è un toccasana, è anche vero che, come ogni medicamento, contiene al suo interno un libretto illustrativo che riporta, alla voce “controindicazioni”, una chiara avvertenza: “non assumere oltre la dose consigliata”. (Altrimenti si rischiano effetti collaterali)
La verità è che nulla stanca più che il riposo. E il fascino della tant’attesa calda stagione – il motivo stesso per cui è tanto attesa – è che come la passione è bollente e (soprattutto) ha una data di scadenza prestabilita. E non v’è cosa al mondo più desiderabile, godibile (e sopportabile) quanto quella di cui s’intravede la fine. È come le offerte speciali di Mc Donald’s, quel panino greco che nessuno comprerebbe se il suo permesso di soggiorno, sulle griglie, non scadesse dopo una manciata di giorni.
Tuttavia, quando volge all’epilogo, ai fortunati che riescono a sopravviverle – come se quel che è stato superato non bastasse – tocca affrontare un’ultima, ennesima fatica: decidere se cedere alle lusinghe di quella forza centripeta che spinge ad aggrapparsi ad un agosto morente, affinché prolunghi il più possibile il suo cursus, come se, colti da indomabile macabro vouyerismo, si volesse assisterne alla dolorosa e estenuante agonia; oppure optare per la dolce eutanasia, lasciandosi trascinare da quella forza centrifuga che conduce nel buio tunnel alla cui fine abbagliante è la temuta luce settembrina. La fine dei giochi.
Che però non corrisponde assolutamente alla resa delle armi. Tutt’altro. Perché, deposti i buoni propositi di giugno – andati in fumo sotto il solleone – tutto ciò da cui si era fuggiti diviene di nuovo, e di colpo, diabolicamente suadente.
Un’indomabile bramosia preme a ritornare a calpestare la vecchia via dei propri errori, dei propri vizi e delle proprie abitudini. Buone o cattive che siano. Quel tragitto in cui si è certi di incontrare luoghi e persone di cui, a finir di primavera, urgeva disintossicarsi.
Perché, superata la canicola, l’unica vera novità è la routine. Un’invitante trasgressione destinata agli esseri umani medi soltanto: malinconici, avversi alle abitudini, soggetti a toedium vitae e normalmente borderline. Ma proprio quando questo dramma raggiunge il climax – quando Amleto deve scegliere tra l’essere ed il non essere – accade qualcosa di sorprendente che tinge di giallo la parabola tutta: un buco nero si apre risucchiando al suo interno gran parte del genere umano. Le spiagge si svuotano, le montagne si spopolano, ma le città, misteriosamente, continuano ad esser deserte. (Roba da chiamare “Chi l’ha visto?”.)
Forse l’indecisione scava profonde trincee. Terre di mezzo, ignote ad amici e nemici -estivi e invernali che siano – in cui, per un attimo ancora, si resta al sicuro. Prima di lanciarsi in una nuova “campagna d’autunno”.
(pubblicato sul quotidiano Calabria Ora il 27 agosto 2008)
Carla Monteforte è una socialite professionista e make-up addicted, prestata occasionalmente al giornalismo. Se non è a Cosenza, Roma o Madrid, provate al bar